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Chi ha ucciso Rino Gaetano? di Luca Rossi

Più di quarant’anni sono passati dalla morte di Rino Gaetano e la solitudine che egli cantava, con allegria e sempre accompagnata dagli sberleffi a un potere corrotto che aveva illuso e tradito gli italiani, si è diffusa a una velocità e intensità tali che un uomo è diventato una specie di prigione ambulante attaccata a un telefonino.

Hanno scritto decine di libri su Rino Gaetano, per gettare luce sulla sua morte ma soprattutto perché i libri su Rino Gaetano si vendono bene, migliaia di sciacalli hanno approfittato del suo genio, quando era vivo e dopo che è morto, migliaia di amici si sono fatti vivi al suo funerale, che prima lo evitavano e lo deridevano, e si comprende come la sorella non voglia saperne di teorie del complotto, perché nessuna teoria le riporterà suo fratello vivo. Non c’è dubbio che Rino Gaetano volesse dire qualcosa con le sue canzoni, qualcosa che non si poteva scrivere sul giornale della sera, e che le sue canzoni d’amore e senza senso siano il prodotto di un amore che un senso lo andava cercando eccome. Ma ascoltiamolo in un’intervista, mentre teneva in braccio un cane, e gli viene chiesto cosa c’entri il cane: “E comunque il cane c’entra moltissimo, perché il disco nuovo si chiama Mio Fratello è Figlio Unico e penso che niente esprima il concetto di emarginato, di escluso, che è appunto questo mio fratello è figlio unico, meglio di un cane, cioè il cane è la solitudine per eccellenza. Il discorso infondo è sui poveri cani che siamo tutti quanti noi, abbastanza avulsi dall’incontro umano e abbastanza soli.” Non penso sia un lavoro intelligente e soprattutto utile fare l’esegesi dei testi di Rino Gaetano cercando il riferimento preciso a questo o quel personaggio o gruppo di potere. Le sue canzoni sono belle proprio per questo, evocative di una verità che poi spetta a noi cercare nella nostra vita, ed è ridicolo credere che la verità sia nascosta nella musica e nelle parole di un cantante. Un altro artista della canzone, Edoardo Bennato, con la sua stessa capacità evocativa, la stessa forza dissacrante ed irriverente diretta contro il potere, con lo stesso desiderio di raggiungerlo dovunque si fosse nascosto e di spogliarlo della sua veste ipocrita e mostrarlo nudo, ridicolo ed osceno, sarebbe stato vittima come Rino Gaetano di due incidenti stradali (strani questi incidenti stradali dove l’altro veicolo è sempre un fuoristrada o un Tir il cui conducente esce illeso, mentre invece i nostri migliori cantanti perdono quasi sempre la vita), e al primo incidente sarebbe sopravvissuto, ma nel secondo avrebbe trovato la morte la sua compagna, Paola Ferrari, studentessa al terzo anno di psicologia. Rino Gaetano e Edoardo Bennato sono due eroi italiani, tra i pochissimi artisti che si sono messi dalla parte del popolo e con una chitarra e una voce hanno combattuto il potere, due meridionali che hanno espresso nel migliore dei modi quali siano le radici e le potenzialità del nostro Sud. Con le sue basi militari e le sue portaerei il potere aveva paura di questi due uomini che cantavano solo canzonette, perché come diceva Napoleone Bonaparte, esistono soltanto due forze al mondo, la spada e lo spirito, e il secondo è molto più forte della prima. Il potere non aveva paura dei riferimenti nascosti nei testi di Rino Gaetano, riferimenti che soltanto un pedante studioso avrebbe potuto scoprire (e molte volte inventare), ma dello spirito che emanava dalla sua musica, della sua intelligenza ed ironia, della sua libertà, della sua capacità di assorbire i nuovi generi musicali, a volte irridendoli e spesso inglobandoli in un ritmo che era il pulsare stesso della vita che Rino Gaetano aveva conosciuto nella sua infanzia in Calabria. Il ritmo del mare e dei tramonti di una piccola città sulla costa ionica, dove il sole tramonta alle spalle, dietro le montagne, lasciando nel mare il colore della sua solitudine, e del vento che scende dai monti e accarezza la terra, i suoi abitanti e quel mare come una consolazione. Più di quarant’anni sono passati dalla morte di Rino Gaetano e la solitudine che egli cantava, con allegria e sempre accompagnata dagli sberleffi a un potere corrotto che aveva illuso e tradito gli italiani, si è diffusa a una velocità e intensità tali che un uomo è diventato una specie di prigione ambulante attaccata a un telefonino. Quando si verrà a conoscere la vera natura del potere che ci governa, si scoprirà che nella Storia non vi era mai stato potere più crudele, più contrario alla vita, più nemico degli uomini in generale e di converso, in maniera proporzionale alla depravazione di questo potere, che l’uomo non era mai stato più solo. Rino Gaetano non è morto per aver svelato informazioni segrete sulla Storia italiana che avrebbero compromesso il gruppo al potere, o per un’ipotetica collusione con la massoneria. Rino Gaetano è stato ucciso perché si ostinava a volere combattere questa solitudine, perché aveva capito da dove essa nasceva, e che non era una solitudine individuale ma strutturale ed endemica, e le sue canzoni erano sia un modo per denunciarne l’origine e il pericolo, sia un tentativo di uscirne, di evitare la prigione in cui il potere voleva chiuderci dentro. Ora che siamo ben chiusi dentro le nostre prigioni, rintanati nelle nostre case a cercare l’anima gemella con il telefonino, ascoltiamo le sue canzoni, e sappiamo perché è morto Rino Gaetano, il 2 giugno del 1981, nel giorno della festa della nostra Repubblica. Chi mi dice ti amo, chi mi dice ti amo, se togli il cane, escluso il cane, non rimane che gente assurda. Chi mi dice ti amo, chi mi dice ti amo, se togli il cane, escluso il cane, paranoia e dispersione.

Luca Rossi l’8 Settembre 2023

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