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Chi ha ucciso Aldo Moro? di Luca Rossi

Non è possibile uccidere la vita di un uomo, non è possibile ucciderne l’anima, quando essa sia vera, forte e viva. Il corpo di Aldo Moro se n’è andato, il 9 Maggio del 1978, non la sua vita. Quello che è umano, benché compresso e soffocato, non può morire

Il meccanismo che hanno costruito artificialmente intorno alla figura e alla morte di Aldo Moro è degno di un grande regista. E bisogna essere onesti, chiunque siano coloro che incarnano l’identità che andiamo cercando, sono dei grandi produttori di cinema. La morte di Aldo Moro, la vicenda del suo sequestro, somigliano a un set cinematografico. Per allestirlo devono essere serviti una  quantità enorme di tecnici e di soldi, ma l’effetto è stato brillante, il film è perfettamente riuscito. Infatti, non si ricorda di Aldo Moro nient’altro che la trama del suo sequestro, il volto rassegnato del prigioniero Aldo Moro, la sua umiliazione, la sua sconfitta, la sua morte.

Gli italiani che sono nati dopo gli anni Sessanta conservano questa immagine lontana e malinconica di un uomo impotente, sanno vagamente che è stato un politico italiano ucciso durante gli anni di piombo, ma non sanno niente del suo pensiero politico, che è il motivo per cui e’ morto.  E questo dovrebbe suggerire un paio di riflessioni. Primo, perche’ questa cura maniacale a far si che l’attenzione pubblica si concentrasse sugli ultimi giorni della vita di Aldo Moro, come se il suo cammino d’uomo, di professore universitario e di politico che lo aveva portato a quei giorni fosse irrilevante?

Perché è cosi difficile trovare materiale di qualità e a portata di mano che ne racconti la vita e il pensiero? Che cosa hanno fatto i giornali, i partiti, le case editrici, le televisioni, gli intellettuali durante questi quarant’anni? Fingiamo di credere che Moro lo abbiano ucciso un gruppo di estremisti isolati e ideologizzati, allora perché dopo la sua morte nessuno ne ha raccolto il testimone e difeso la memoria, come ci si spiega questa apatia e questo silenzio che sanno tanto di vigliaccheria? Non diciamo che non si sarebbe dovuto parlare d’altro, ma Aldo Moro avrebbe dovuto rappresentare il centro di ogni discorso serio sulla libertà e sulla democrazia italiana. Invece niente, un silenzio vigliacco. Secondo, questo programmatico e sistematico annientamento del più grande statista che l’Italia repubblicana abbia avuto, ci dice quanto Aldo Moro sia stato grande e come i documenti che ne illustrino seriamente il pensiero siano una sorta di tesoro nazionale.  Governare per l’uomo, a cura di Michele Dau, e’ uno di questi pochi contributi seri dove è possibile farsi un’idea non superficiale della persona di Aldo Moro, soprattutto per il lodevole fatto di contenere molti dei suoi discorsi, e qundi di mettere al centro ciò che ha realmente valore, senza distrazioni di cronaca nera. 

Leggerli oggi, questi discorsi fanno male come un unguento su una ferita aperta e bruciante, che appena versato causa un terribile dolore ed insieme il presentimento del suo effetto benefico, e si procede quindi a versarne ancora, e si arriva al punto che non si finirebbe mai di leggere Aldo Moro, tanta è la sete di intelligenza, onestà e verità e tanto poche sono le sorgenti a cui oggi possiamo attingere. Spero mi venga perdonata quindi la lunga citazione: “L’Italia e’ oggi angustiata da così gravi e urgenti problemi, che c’è tra noi chi non riesce a conservare il minimo di fiducia necessario per operare fortemente ed efficacemente in questo difficile momento della nostra vita nazionale. Questa sfiducia diffusa, che limita gli orizzonti e costringe freddamente gli slanci di passione e di azione di molti italiani, si spiega e, almeno in parte, si giustifica. Ma essa non è certo atteggiamento civile e da’ anche a coloro che ci guardano con attenzione, benche’ benevola, l’impressione pericolosa di una stanchezza, che non riesce ad attingere a nessuna risorsa umana, per vincersi.

Invece sostanzialmente, non è così. Noi abbiamo nelle nostre tradizioni, dalle più antiche alle più recenti, valori pienamente validi da cui attingere energie spirituali per la rinascita dell’Italia, che tutti auspichiamo. Il problema è d’individuare il punto della crisi (che e’ certo crisi degli spiriti) e di muovere, prima che meccanismi legali o forze storiche, le nostre coscienze di uomini responsabili.”. Questo è Aldo Moro, quello che ci hanno propinato per quarant’anni non è altro che il personaggio di un film poliziesco, un attore suo malgrado, costretto a recitare la parte di un perdente, dell’agnello sacrificale, rinchiuso in uno scantinato della storia e li lasciato per sempre, a futura memoria, per chi avesse ancora qualche dubbio, su chi sono i veri padroni della Storia. Ma Aldo Moro era italiano e non cesserà mai di esserlo. Questo, quei padroni che giocano al tiro al bersaglio da quando è nata questa nostra tormentata Repubblica, anzi sembra che l’abbiano fatta loro apposta, come si mette su in piedi una baracca alla fiera del paese, per eliminare tutti gli italiani più rappresentativi del mondo della politica, dell’economia, della cultura e dello spettacolo, non possono cancellarlo, perché è un bersaglio che non vedono e non comprendono.

Non possono comprendere come non si possa uccidere la verità senza che essa, prima o poi e da qualche parte e in una forma più alta e luminosa, risorga.  Leggendo e ascoltando Aldo Moro accade infatti quasi un miracolo, il ritorno di qualcosa che credevamo morto e sepolto, si accende una luce di speranza dentro l’insensibilità e l’egoismo della nostta vita quotidiana, che forse non tutto è perduto, che c’è ancora una vita da giocarci finché siamo vivi, giocarla nel senso più nobile, perché non è mai troppo tardi per imparare ad essere uomini.  Aldo Moro, parlando soprattutto ai giovani, ma rivolgendosi agli italiani in generale, all’indomani della fine della seconda guerra mondiale, scrisse un articolo intitolato Paura di essere uomini, dove rifletteva sulle conseguenze della crisi spirituale che minacciava il nostro Paese, dopo gli anni del fascismo e della guerra: “Ebbene, oggi la conseguenza è questa ed è una conseguenza crudele, essi non hanno più fiducia, non sono disposti a credere, non pensano che esista una differenza sostanziale ed eterna tra bene e male. Ciò vuol dire non essere uomini e, soprattutto, non essere giovani, cioè pienamente e veramente uomini. E dovunque e comunque si presenti (e come può non presentarsi, se quello che è umano, benché compresso e soffocato, non può morire) l’impulso della vita, e cioè della fiducia, dell’impegno, del lavoro, questi giovani senza giovinezza si fermano smarriti come dinanzi a una tentazione cattiva da vincere.

Non è, io credo, inerzia; non e’ neppure incoscienza dei grandi problemi dell’esistenza. È qualche cosa di piu’ nobile e degno di amorosa attenzione. È paura di essere uomini, perché umanità è coscienza, è discriminazione, è dedizione. Tutte cose che impegnano nel profondo la vita e preparano e recano già con sé il dolore… So bene che conseguenza di questo stato d’animo è una tristissima rinuncia., grave di conseguenze per il singolo e la società. Ma non abbiamo pure il dovere di capire e di compatire questo dolore che inaridisce lo spirito e lo chiude in sé stesso, tanto che non se ne avvertono più gli impulsi, mortificati in un penoso compromesso di vita quotidiana. Scoprendo la figura di Aldo Moro si viene così a scoprire anche una grande verità. Non è possibile uccidere la vita di un uomo, non è possibile ucciderne l’anima, quando essa sia vera, forte e viva. Il corpo di Aldo Moro se n’è andato, il 9 Maggio del 1978, non la sua vita. Quello che è umano, benché compresso e soffocato, non può morire.

Luca Rossi il 28 Luglio 2023

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