HomeIl Perché RubricheBiografie & PersonalitàDamnatio memoriae: "Chi ha ucciso Enzo Tortora?" di Luca Rossi

Damnatio memoriae: “Chi ha ucciso Enzo Tortora?” di Luca Rossi

Che Enzo Tortora fosse innocente lo sapevano tutti in Italia, con una certezza intima e profonda

Capita di svegliarsi la mattina, in questo Paese dove bisogna stare attenti a non essere divorati dalla malinconia, ma a farne senza proprio non si può stare, e salire sul treno che ti porta al lavoro, e chiedere alla pianura che scivola veloce al di la’ del finestrino, ai campi, alle case e ai campanili che non sono cambiati, che ancora esistono nella loro semplicità e concretezza, e per quanto è breve la vita di un uomo forse sono sempre esistiti ed esisteranno sempre, una semplice domanda, perchè forse loro sanno, queste semplici cose che sono rimaste uguali a se stesse, testimoni silenziosi di un passato che è stato violentato da alcuni uomini e poi dimenticato da tutti, chi ha ucciso Enzo Tortora.

Un uomo che è passato, nello spazio di una notte, dall’essere uno dei più famosi uomini di spettacolo del suo tempo ad essere aspettato dai suoi colleghi giornalisti sotto il portone di casa sua, ansiosi di fotografarlo con le manette ai polsi e poi sbattere sulle prime pagine dei quotidiani nazionali la sua faccia di camorrista.

Enzo Tortora era di orgini napoletane, e forse aveva qualche tratto fisionomico in comune con i presunti camorristi, essendo figlio della stessa terra, ma a questo si limitava la sua associazione alla camorra. Che Enzo Tortora fosse innocente lo sapevano tutti in Italia, con una certezza intima e profonda, che essendo immateriale non poteva essere portata nell’aula di un tribunale, ma che nondimeno era qualcosa di reale, come quell’oscuro presentimento che nel banco degli imputati non ci fosse soltanto un uomo, Enzo Tortora, il famoso presentatore, ma anche l’italiano perbene, cioè tutti gli italiani che si riconoscevano in un particolare stile di vita e codice di comportamento.

Da dove eravamo rimasti, disse davanti alle telecamere, quando il calvario della persecuzione mediatica e giudiziaria era ormai finito, e gli era stato concesso di ritornare a svolgere il suo lavoro di presentatore televisivo. Ma Enzo Tortora non era più lo stesso uomo, il periodo passato in carcere e in libertà condizionata lo aveva debilitato nel corpo, e non sarebbe mai più tornato a ricoprire il ruolo di un tempo. Era un uomo adesso che non aveva più voglia di ridere,  aveva sperimentato sulla propria pelle la vera natura del potere che veniva configurandosi in Italia, era stato costretto a guardarlo in faccia il giorno e la notte, e aldilà della sua tragedia personale, furono probabilmente questa esperienza e questa visione ad ucciderlo.

Enzo Tortora aveva capito che attraverso di lui si mirava a colpire ben altro, e con le forze che gli erano rimaste, con il corpo debole e malato, aveva continuato a lottare con coraggio ed educazione, e sapendo benissimo della sua finale sconfitta, non aveva però cessato di credere nel valore della sua testimonianza. Quando ai suoi accusatori aveva urlato di essere innocente e che dal più profondo del cuore sperava che lo fossero anche loro, intendeva forse proprio questo, cioè che vi fosse un disegno, un calcolo ben preciso, una vera forza del male dietro l’assurdo processo che gli era stato intentato.

La tragedia di Enzo Tortora non deriva infatti da un semplice errore giudiziario, ma è la prova di come il potere controllasse la stampa e la magistratura (vasta parte di esse naturalmente, non tutta la stampa e tutta la magistratura, che se qualche giornalista e magistrato si sentisse offeso nel suo onore da queste mie parole, non esiterei ad affermare che egli sia libero ed indipendente, potrei anzi giurarlo, proprio in virtù di questo suo nobile sentimento)  già a metà degli anni Ottanta, e potesse usare questi potenti strumenti come un’arma per distruggere un uomo che gli risultasse particolarmente sgradito, un nemico di quel nuovo ordine che doveva essere instaurato ad ogni costo. 

Bisognava rifare gli italiani, nel cuore e nel cervello, e la televisione era allora considerata il mezzo migliore per farlo. Con la televisione di Enzo Tortora, educata, divertente, autenticamente popolare, nata nella provincia italiana e fatta per essa, periferica e a suo modo essenziale, sofisticata  perchè naturale, nata dal bisogno elementare che l’uomo ha di comunicare con gli altri uomini la sua presenza nel mondo,  si poteva correre il rischio che gli italiani si formassero un cuore e un cervello contrari ai piani e agli interessi di coloro che lavoravano da secoli alla creazione di un ordine senza più un’anima, che per loro era soltanto superstizione, confusione e disordine e non qualcosa di immortale. Bisognava rifare i cervelli, come disse un famoso scienziato, e il modo migliore per farlo era quello di sparare dritto al cuore. E loro sapevano, poichè non erano soltanto dei cinici calcolatori, ma anche dei cultori appassionati di scienza, cosa fa un cervello in assenza del cuore, sapevano come i cervelli degli italiani, riempiti di informazioni inutili ma scientifiche, non potessero fare altro che distruggersi alla fine.  Li vediamo intorno a noi, ci viviamo come dentro un incubo, gli effetti di questo assassinio al cuore italiano. Chi pagherà mai per questo? Non lo so, ma la pianura che scorre, le case e i campanili lontani e il cielo sembrano saperlo. Loro sanno chi ha ucciso Enzo Tortora.

Luca Rossi il 07 Luglio 2023

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