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L’Ens è il “Primum” intellegibile, ma l’Actus Essendi ha il primato ontologico di Daniele Trabucco

Se non si ammettesse l’esistenza di Dio, non si comprenderebbe il perché gli enti non sono l’essere, bensí partecipano dell’essere. Infatti, proprio perché finiti, devono riceverlo unicamente da chi é l’Essere per essenza.


Il nostro percorso conoscitivo inizia sempre con l’ens, con l’ente. É la prima nozione che si forma nell’intelletto, assumendo così il primato dal punto di vista gnoseologico, cioé della conoscenza (c.d. “primum cognitum”). L’ente, dunque, é l’essente, o meglio ció che é, ció che esiste: questo uomo, questa donna, questa casa, questo albero.

Ora, insegna san Tommaso d’Aquino (1225-1274), ogni ente reale é composto dall’essenza o natura, intesa come insieme di materia e forma (nell’ente uomo l’essenza é data dalla sua corporeitá – la materia-, ma anche dalla sua forma – la ragionevolezza-), e dall’atto d’essere o “actus essendi” spesso erroneamente scambiato con l’ “esse in actu”.

L’atto d’essere é l’atto per cui qualsiasi cosa é, o meglio la rende sussistente e distinta dalle altre cose. Facciamo un esempio concreto: io sono un uomo per essenza, ma sono, o meglio sono un ente, in virtù dell’atto d’essere. L’essenza, dunque, sta all’atto d’essere come la potenza sta all’atto. Ogni ente finito, pertanto, é secondo l’essenza che lo colloca ad un certo livello di essere.

Bisogna, peró, non confondere l’atto d’essere con il concetto di esistenza, dal momento che quest’ultimo non appartiene al pensiero tomista. L’esistenza, infatti, indica la presenzialitá dell’ente, il suo trovarsi qui o lá, ma solo l’essere é il fondamento ontologico assoluto dell’ente.

Si comprende bene, alla luce di questa ricostruzione, l’errore di Martin Heidegger (1889-1976) per il quale vi é identificazione di essere ed esistere (Stefano Fontana). Resta, peró, aperta una legittima domanda: come si conosce l’actus essendi? Non certamente dall’esperienza sensibile come riteneva Maritain (1882-1973), in quanto essa ci presenta sempre l’ente, ma non ci fornisce come dato immediato l’atto d’essere ovvero la perfezione di ogni atto (Battista Mondin).

Mediante una prima approsimazione possiamo concludere che l’atto d’essere si conosce attraverso l’ente. Come questo avviene in concreto? Attraverso quella che il grande Padre stimmatino, Cornelio Fabro (1911-1995), chiama in lingua latina “resolutio”. In maniera molto semplice, la conoscenza dell’ente, di ció che é, ci consente prima di comprendere la sua causa intrinseca, ovvero l’ “esse ut actus”, o meglio che quell’ente sussiste ed é diverso dagli altri enti (l’ente uomo sussiste ed é diverso dall’ente albero), poi la sua causa estrinseca, ossia che ogni ente finito non é l’essere, ma ha l’essere per partecipazione, ricevendolo dall’ “Ipsum Esse Subsistens”, Dio, che appunto é l’essere per essenza come riporta il capitolo 3 versetto 14 del Libro dell’Esodo.

Se non si ammettesse l’esistenza di Dio, non si comprenderebbe il perché gli enti non sono l’essere, bensí partecipano dell’essere. Infatti, proprio perché finiti, devono riceverlo unicamente da chi é l’Essere per essenza.

Prof. Daniele Trabucco Costituzionalista il 24 Maggio 2024

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