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I^ Parte – Nelle pieghe del Diritto Canonico: “La rinuncia di Benedetto XVI°” di Daniele Trabucco

Parte Prima. Tra “sede impedita” e distinzione tra munus e ministerium petrino siamo giunti al “bellum omnium contra omnes” con ciascuna parte che si ritiene la sola ed unica depositaria della corretta interpretazione dei fatti: tutto questo genera solo confusione tra i fedeli. Per questo motivo é doveroso, sia pure nel rispetto di tutte le posizioni, analizzare quanto accaduto alla luce del vigente diritto canonico.

Quanta confusione nella sola ed unica Chiesa di Cristo!

Non bastava un pontificato, che si inserisce in perfetta linea di continuitá con i pontificati successivi al Concilio Ecumenico Vaticano II (1962—1965), con un magistero ordinario in molte occasioni ambiguo e suscettibile di svariate interpretazioni (si pensi solo al Capitolo VIII dell’Esortazione Apostolica post sinodale “Amoris laetitia” del 2016 sulla possibilitá della comunione ai divorziati—risposati) o legittimante l’eretico Martin Lutero (1483—1546), fautore della riforma protestante che cambia la concezione della Grazia, abolisce i sacramenti, attacca violentemente il Papato, presenta un acceso antisemitismo, o ispirante, su influsso della Chiesa tedesca, la Dichiarazione “Fiducia supplicans” del Dicastero per la dottrina della fede sulle benedizioni alle coppie dello stesso sesso o di sesso diverso unite tra loro al di fuori del vincolo sacramentale del matrimonio.

Ora, tra “sede impedita”, declaratio scritta di Papa Benedetto XVI (2005−2013) piena di errori, distinzione tra munus e ministerium petrino etc. siamo giunti al “bellum omnium contra omnes” con ciascuna parte che si ritiene la sola ed unica depositaria della corretta interpretazione dei fatti. In realtá, tutto questo genera solo confusione tra i fedeli. Per questo motivo é doveroso, sia pure nel rispetto di tutte le posizioni, analizzare quanto accaduto alla luce del vigente diritto canonico.

Il punto di partenza é l’atto di rinuncia di Papa Benedetto XVI pronunciato in data 11 febbraio 2013 pubblicamente ed oralmente. La rinuncia é contemplata dal canone 332, paragrafo 2, del Codice di diritto canonico del 1983 la cui disposizione prevede che affinché la rinuncia del Romano Pontefice sia valida, questa deve essere fatta liberamente, deve essere debitamente manifestata e non é necessario che alcuno la accetti. Ora, Papa Benedetto XVI ha affermato di aver rinunciato al papato in piena libertá ed ha espresso questa sua volontá in Concistoro ordinario pubblico.

Al diritto canonico, dunque, non interessa sapere se e quali condizionamenti reconditi vi siano stati sulla decisione di Papa Ratzinger (di cui non abbiamo prove incontrovertibili), rilevando unicamente il modo con cui é stata fatta. Benedetto XVI ha chiarito sia l’11 febbraio 2013, sia successivamente, come la sua rinuncia sia stata presa con “plena libertate” e, pertanto, al di fuori di qualunque condizionamento psichico e psicopatologico. Neppure l’obiezione secondo la quale il testo redatto in lingua latina della declaratio contiene errori grammaticali voluti da Benedetto stesso in quanto impossibilitato ad esercitare il suo ministero a causa della “sede petrina impedita” è conferente. Non solo Benedetto XVI ha respinto ogni obiezione sulla presunta invaliditá della sua rinuncia, ma il canone 332, paragrafo 2, del Codex iuris canonici del 1983 non richiede la forma scritta, parlando solo di un atto che deve risultare debitamente manifestato (“rite manifestetur”), cioé conoscibile.

Il testo scritto, dunque, é un quid pluris che, al di lá degli errori o del presunto messaggio criptico in esso nascosto, non costituisce condizione giuridica per la validitá della rinunzia stessa la quale, dunque, ai sensi degli articoli 1 e 3 della Costituzione apostolica “Universi dominici gregis” del 1996 promulgata da Giovanni Paolo II (1978−2005), comporta la vacanza della Sede di Pietro durante la quale “nihil innovetur” (canone 335). Benedetto XVI ha affermato che la rinuncia avrebbe prodotto i suoi effetti non immediatamente, ma alle ore 20:00 del 28 febbraio 2013. Alcuni autorevoli canonisti ritengono che, rientrando la rinuncia tra i c.d. “atti giuridici puri”, essa non ammetterebbe termine o condizione.

Tuttavia, la prassi ci dimostra, invece, come, in assenza di un divieto in questa direzione da parte del diritto canonico, sia possibile introdurre un elemento accidentale quale un termine o una condizione. Ad esempio Papa Pio VII (1800-1823), prima di partire per Parigi per incoronare Napoleone Bonaparte nel 1804, firmó l’atto di rinuncia che avrebbe avuto effetto se fosse stato imprigionato in Francia. Analoga situazione per Papa Pio XII (1939—1958) in caso di cattura da parte dei nazisti. A questo punto resta da chiarire la distinzione tra munus e ministerium in relazione alla rinuncia di Benedetto XVI. Ci chiederemo, nel prossimo articolo di approfondimento, se questa distinzione puó riguardare la figura del Romano Pontifice e vedremo che la risposta sará negativa.

Prof. Daniele Trabucco Costituzionalista il 18 Febbraio 2024

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