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Giovani Neet e futuro: “La buona politica e la responsabilità” di Dario Buscema

Secondo il rapporto annuale dell’Istat, in Italia sono quasi 1,7 milioni di giovani di età compresa fra i 15 e i 29 anni che non lavorano, non studiano e nemmeno sono in procinto di farlo.

L’Italia è il paese europeo che soffre maggiormente di questa condizione con una tendenza in aumento.

Anche il Nordest, terra che da sempre incarna in sé i principi del lavoro, impegno e rispetto delle regole, soffre la crescita del fenomeno.

Eppure sul nostro territorio le possibilità lavorative non mancano e il rischio di essere sottopagati, anche se ci si dedica a mansioni piuttosto umili, appare meno marcato, a differenza di altre zone del paese. Basterebbe osservare quanti ragazzi del sud Italia vengono a farsi la stagione nelle nostre strutture turistiche o abbiano trovato lavoro in pianta stabile in moltissime aziende locali, dichiarandosi generalmente soddisfatti della propria condizione lavorativa. Certamente quello dei Neet è un problema di carattere socio-culturale ampiamente diffuso, che può partire dalla mancanza di fiducia, voglia di mettersi in gioco, aspettative personali o familiari troppo elevate o scollegate dalla realtà.

Ognuno di noi possiede capacità e limiti, ma spesso può far comodo lamentarsi e puntare il dito contro il sistema senza muovere un dito, crogiolandosi tra divano e playstation con l’assenso di genitori, ormai abituati o accondiscendenti. E la mancanza di responsabilizzazione da parte delle famiglie, sempre pronte a sostenere i figli e a mantenerli sino l’età adulta, pare sia uno dei motivi fondanti del fenomeno.

Personalmente non trovo corretto semplificare e fare di tutta l’erba un fascio, ci sono casi e casi, ma se oggi parliamo di centinaia di migliaia di ragazzi che non fanno nulla e vivono all’interno di un paese con una demografia da ospizio, è chiaro che la tenuta di sistemi come il welfare sociale e quello pensionistico, sarà destinata a crollare più prima che poi.

A ciò va aggiunta la percezione d’ingiustizia subita da chi è costretto a lavorare sempre di più per sostenere un sistema che non regge e che non lo premierà più per il suo impegno, garantendo ad esempio una buona pensione.

Ecco che allora il problema diventa un problema di tutti.

Sbagliato però accusare solo i giovani, le concause ricomprendono sicuramente certi sistemi italioti frequenti nel mondo del lavoro, ma anche della politica.

Il reddito di cittadinanza, ad esempio, ha statisticamente contribuito in maniera considerevole ad incrementare una certa tendenza alla nullafacenza. Facile pensare per chi ha poco o nulla da perdere, “tanto vale prendere”, quello che nessuno si chiede è a chi tolgo e se davvero conviene farlo.

Una buona politica deve indirizzare anche alla responsabilità oltre che all’aiuto, mutuando semplicemente il principio del buon padre di famiglia dal buon esempio del passato.

Scuole di indirizzo professionale a carattere territoriale, percorsi di studio-lavoro, stage, programmi di inserimento, coinvolgere le aziende nel presentare richieste o a dimostrare le proprie peculiarità tramite degli incontri dedicati, aiuterebbe i giovani ad avvicinarsi più facilmente al mondo del lavoro, recependone magari una prospettiva diversa e maggiormente indirizzata verso l’affrancamento personale, piuttosto che ad un’esclusiva necessità utile alla sopravvivenza.

Nota di redazione – NEET è l’acronimo dell’espressione inglese Not in employment, Education or Training che viene tradotta come “non lavora, non studia, non si aggiorna”.

Dario Buscema il 07 Dicembre 2023

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